“Ho aperto la finestra. Ho visto. Nella piazza si ammassava la gente – non credea che tanti la città ne avesse disfatti – ed alcuni avevano le mani protese e chiedevano, parlavano e chiedevano, ed altri avevano le mani protese e donavano, ridevano e donavano, ed alcuni in un angolo guardavano attenti e non ridevano, ma sputavano e bestemmiavano, e su tutti volteggiavano i corvi, sereni e saggi, e cadeva una pioggia cattiva, e quando la pioggia cessò suonarono le campane e dai containers uscirono quelli che non avevano le mani per chiedere e le bocche per sorridere – o per parlare – e cominciarono a sfilare silenziosi sotto il cielo che si apriva ad illuminare la loro miseria, e...”
Perché Tophet

Prendete una città del sud. Centocinquantamila abitanti o giù di lì. Caldo opprimente d'estate, disoccupazione opprimente sempre. Familismo amorale e tutto quanto il resto. E poi i politicanti, e poi la mafia. Insomma, ci siamo capiti. Prendete questa città del sud, e chiedetevi: che fare? Nessuna domanda è più disperante, in una mafiosa/afosa città del Sud. Andarsene può essere una buona risposta. Andarsene alla svelta, senza voltarsi indietro. Ma dove? Esiste davvero un altrove che valga la pena di raggiungere? C'è chi lo crede. Ma credere è sempre una cosa difficile. La fede ad alcuni è concessa, ad altri no. A noi no. Ed allora siamo condannati a restare, ed a porci ossessivamente la domanda: che fare?
Siamo giunti alla conclusione che la domanda non consente risposte risolutive. Non c'è un fare che sia trionfale. Ci sono delle prassi momentaneamente liberatrici. Una di queste è esercitarsi nell'uso delle imprecazioni che il robusto dialetto della piccola città mafiosa/afosa mette a disposizione. Un vafammoccachitestramurt, all'indirizzo del politico, del prelato, del mafioso candidato alle elezioni dà un sollievo momentaneo. Ma  è cosa effimera, appunto. Più sostanziosa è la scrittura. La scrittura materiata di pensiero. E allora, ci siamo detti, pensiamo e scriviamo.
Così nasce Tophet. Visioni dal fondo. Quattro pagine scritte e pensate senza la pretesa e l'ansia di piacere a nessuno. Quattro pagine libere, in una città in cui la cosiddetta informazione è completamente nelle mani dei poteri. Quattro pagine di "verifica dei poteri".



Esercizio d'anarchia, che non è altro che il tentativo - disperato poetico patetico - di restare uomini in una città mafiosa/afosa.
Questo è, o cerca di essere, Tophet.
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